Tecnologie open source: 7 miti da sfatare
Le tecnologie open source sono diventate cruciali per lo sviluppo degli ecosistemi digitali. Dalle infrastrutture alle applicazioni, la diffusione dei software aperti sta in effetti aumentando rapidamente.
Secondo Global Market Insights il giro d'affari globale legato alle tecnologie open source ha superato i 30 miliardi di dollari nel 2023, e si appresta a crescere di oltre il 16% anno su anno tra il 2024 e il 2032.
Le ragioni che hanno già spinto molte grandi imprese a scegliere queste soluzioni sono note a una platea sempre più estesa. Stando a un'indagine condotta l'anno scorso a livello globale da Statista, si evince che:
più di un decisore su tre (il 36,64% del campione) punta sull'open source per ridurre i costi dell'IT,
il 30,71% degli intervistati sostiene di trovare nei software aperti funzionalità che aumentano la velocità di sviluppo delle soluzioni di cui hanno bisogno.
Il 27,64% dei professionisti coinvolti nella ricerca, invece, ne apprezza la stabilità e il supporto garantito anche nel lungo termine dalle community che implementano la tecnologia.
Eppure, nonostante l'indiscutibile affermazione degli strumenti e dei servizi a disposizione del mercato, l'aumento della consapevolezza rispetto ai vantaggi dell'approccio e la crescita della soddisfazione presso le organizzazioni che lo adottano, continuano a circolare parecchie inesattezze sui software aperti.
Questi preconcetti, in molti casi, inibiscono gli investimenti delle aziende meno strutturate, che proprio nelle tecnologie open source potrebbero trovare una valida opportunità per accelerare la digital transformation. In questo articolo, dunque, verranno sfatati i sette falsi miti più duri a morire.
1. L’open source non ha supporto tecnico
Innanzitutto, la vulgata dice che chi sceglie il software open source non possa contare su servizi di assistenza qualificati, e debba risolvere eventuali problemi in totale autonomia.
In realtà, i progetti open source spesso hanno alle spalle ampie community pronte a condividere le proprie competenze, oltre ad aziende specializzate che offrono supporto commerciale. Per esempio, PostgreSQL e Kubernetes mettono a disposizione del mercato una vasta gamma di risorse, sia gratuite sia a pagamento.
2. Chi adotta l'open source vuole solo spendere meno
C'è chi è convinto che si scelgano le tecnologie open source solo nell'ottica di spendere meno, visto che non ci sono licenze software da pagare.
Di fatto, investire in tecnologie open source non significa semplicemente diminuire la spesa IT anche perché è vero che sono libere da licenze, ma le soluzioni vanno comunque sviluppate, mantenute e fatte evolvere.
Chi sceglie l'open source, piuttosto, lo fa perché la qualità dei prodotti in molti casi è superiore alle soluzioni proprietarie. Inoltre, basandosi su standard aperti, consente – a differenza delle tecnologie proprietarie – una maggiore libertà di integrazione con altri software.
3. L’open source non è adatto alle aziende
Un altro preconcetto riguarda la presunta incompatibilità tra questo tipo di soluzioni e le esigenze di business: per sua stessa natura – sostiene qualcuno – l’open source non sarebbe abbastanza affidabile o scalabile per essere usato in ambienti aziendali.
Eppure, è cosa nota che diversi leader nel settore tecnologico, come Google, Amazon Web Services e IBM, usano e contribuiscono attivamente a progetti open source. Tecnologie cruciali per le imprese, come Kubernetes, Linux e Apache, sono aperte e sono ampiamente adottate a livello corporate. La stessa Microsoft, che in passato sconsigliava l'adozione di Linux, oggi utilizza il sistema operativo open source per antonomasia sul 60% dei server del cloud Azure.
4. Il software open source è meno sicuro di quello proprietario
Sulla falsa riga del tema dell'affidabilità, è diffusa anche la convinzione che le tecnologie open source siano più vulnerabili ad attacchi e intrusioni poiché il codice sorgente è visibile a tutti.
La verità è che l'open source è sicuro almeno quanto le soluzioni proprietarie. In un certo senso, anzi, è ancora più sicuro: può infatti contare su una massa critica di sviluppatori e tester che a livello globale individuano e segnalano anomalie e bug, abilitando un processo di continuous improvement che per i software proprietari è spesso molto più impegnativo.
5. L’open source non è innovativo
Senza allontanarci dal campo di confronto con i software proposti dai vendor più blasonati, c'è anche chi teme che l’open source non possa competere con le tecnologie proprietarie sul piano dell'innovazione.
Ma, esattamente come avviene sul fronte della sicurezza, le community open source sfruttano la collaborazione costante tra migliaia di sviluppatori proprio per accelerare i processi creativi. Ecco perché, al contrario di quanto si tende a pensare, l’open source è spesso all’avanguardia nelle tecnologie emergenti, come il machine learning (basti pensare a piattaforme come TensorFlow, PyTorch) e il cloud computing (OpenStack).
6. Open source significa anarchia, senza controllo sulla qualità
Non manca poi chi pensa che, avendo a che fare con codici aperti, chiunque possa modificarli, e che ciò rischi di portare a un prodotto disordinato e incoerente.
Niente di più sbagliato: la maggior parte dei progetti open source ha strutture di governance ben definite e processi rigorosi di revisione del codice. I contributi, quindi, vengono attentamente valutati e solo i cambiamenti di qualità vengono inclusi nelle versioni stabili.
7. Il software open source non è sostenibile
C'è, infine, la convinzione errata che i progetti open source siano destinati a fallire perché privi di un modello di business stabile.
Semmai è il contrario: basti pensare che molti progetti open source prosperano grazie al supporto di aziende, a donazioni e ai contributi della community. Modelli di business come “open-core” (nei quali le funzionalità base sono gratuite e quelle avanzate a pagamento) e servizi premium dimostrano che l’open source può essere non solo sostenibile, ma anche redditizio.
Non ci sono ragioni fondate per non scegliere le tecnologie open source
Dovrebbe essere chiaro a questo punto che non vi sono motivi validi per chiudersi a priori alla possibilità di adottare le tecnologie open source. Né tantomeno un approccio esclude l'altro: un'eventuale scelta tra soluzioni proprietarie e software aperti dovrebbe basarsi solo sulla qualità e sulle caratteristiche dei prodotti che occorrono per rispondere ai bisogni aziendali e supportare l'innovazione digitale, bilanciando prestazioni, capacità di integrazione e scalabilità.